NOTE CRITICHE
Nella mia impostazione registica la CELESTINA non dovrebbe intitolarsi TRAGICOMMEDIA DI CALISTO E MELIBEA, ma tragicommedia di celestina e melibea.
L'autentico nucleo poetico non è infatti una storia d'amore finita tragicamente a causa delle convenzioni sociali (giulietta e Romeo),
ma lo scontro tra due concezione e modi di vita: da una parte MELIBEA, i beni non "personali" e che dunque, metaforicamente, provengono da Dio
- giovinezza, ricchezza, nobiltà, e anche verginità, in quanto appartiene agli "idola tribus", ai valori dell'educazione -;
dall'altra CELESTINA, la "virtù" in senso machiavellico dell'individuo, di chi si è fatto da solo, dell'esperienza.
Celestina, plebea, brutta, vecchia, disprezzata, è però la più forte, "costrige" alla verità Melibea, le impone la sua filosofia:
in questo sta la grandezza di Celestina, per questo Celestina non si esaurisce nel ruolo della ruffiana, tratto d'unione fra Calisto e Melibea,
ma è la protagonista dell'opera: al di là dell'interesse, Celestina agisce in proprio, è lei che usa per i suoi fini Calisto, non viceversa.
No. La verità di Celestina è distruttiva, cancella i valori prestabiliti del vivere civile, la conscia o inconscia ipocrisia,
ma non può contrapporre una società diversamente ordinata - Celestina, se non altro per atto di nascita, non è marxista! -:
per questo Celestina è diabolica, è la "scienza" del diavolo. |